mercoledì 22 giugno 2005

Ma perché suonate?
Cazzo, è come quando si gioca a calcetto, le palle molto lente sono di certo un goal.

…camminavamo lungo una di quelle strade milanesi in cui di certo non incontri nessuno per almeno dieci minuti. Non hai nemmeno l’occasione di incrociare uno sguardo che supporti il tuo, pesante di pensieri. Ho rallentato il passo in quarti, il battito del cuore in ottavi mentre lo scorrere delle immagini scandiva i sedicesimi. Mi son fermato un attimo. Son ripartito con il piede destro e le parole che uscivano dalla bocca. Stop and go.
“La musica che facciamo è secondaria, è funzionale all’obiettivo che implicitamente ci siam dati”.
Escono così una fila di parole che rimangono sospese per un secondo, li appese ad un filo teso da me, per poi disperdersi in un filo di vento.
“è un mezzo per creare relazioni che intessono le storie; suoniamo per te che mi chiedi perché suoni”.
Non so bene che volesse dire l’ultima frase ma mi accorgo ora come possieda in sé la ricorsività delle nostre azioni, meglio ancora, del senso di queste.
Mi piace pensare al concerto come ad una comunicazione che sfiora tutti i sensi e che corre circolarmente tra te e me. Incidiamo i dischi perché qualcuno ci dica che lo ascolta la mattina mentre va a scuola o perché qualcun’ altro ne utilizzi le parole per spiegare se stesso.

Camminavamo, sempre più rapidi , ci si trainava a vicenda mentre pensavo.
A Milano capita spesso. Non siamo più abituati a passeggiare, a far respirare le parole, a guardare in alto se c’è il sole, altresì verso il basso per superare ostacoli. Ci si sposta da un punto all’altro tralasciando il percorso, non viene scelto ma è scelto.
È come dire che non importa come ci arrivi ma quando ci arrivi.

Il fiato e l’accelerazione cardiaca mi costringono a queste considerazioni, tralasciando la domanda iniziale, evitando di rispondere.
Mi son fermato guardandomi negli occhi.
Forse son stato esaustivo.
y

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