sabato 28 maggio 2005

In questo momento (sono le 12.41 di sabato 28 maggio 2005) siamo nella camera di Marko Müller (che figa la tastiera con le dieresi üöäß uaüh) il nostro local promoter di Würzburg. Macche' promoter, Marko e' un amico. Anche ieri sera ci ha regalato una serata indimenticabile.

Anche ieri sera ce l'abbiamo fatta... Siamo arrivati alle 11.20 dopo quasi 9 ore di furgone per un percorso che ne richiedeva al massimo 6 e mezzo. Abbiamo capito che c'era qualcosa che non andava quando ci siamo trovati bloccati nel traffico di una via centrale di Zurigo, piu' o meno a 300Km. da Würzburg. Erano le 8 di sera. In ogni caso, andando a tentoni (questa volta Dani diceva che la piantina non ci serviva, che tanto noi la Germania la conosciamo come le nostre tasche) e sfruttando i venti siamo arrivati all'Immerhin... per chi non lo sapesse il locale piu' caldo del mondo. In pratica una cantina senza finestre con un branco di crucchi completamente ubriachi che stizzano come dei pazzi.

Insomma scarichiamo tutto al volo e cominciamo a suonare, senza soundchek/linecheck cazzi e mazzi e come al solito da queste parti facciamo il concerto che piace a noi. Quello dove tutti cantano e non importa cosa. :) Quello dove non ci sentiamo degli stronzi a suonare per l'ennesima volta Goofy e facciamo 3 bis. E facciamo hardcore melodico e a culo tutto il resto!

Cosi' succede che passata mezz'ora dalla fine del concerto qualcuno si avvicina e ci chiede un altro paio di pezzi... il problema e' che non c'e' piu' la batteria (l'altro gruppo aveva gia' smontato tutto) e cosi' improvvisiamo un set-acustico. La gente ora non canta, ma si diverte ci guarda e segue con la testa.

Giusto il tempo di impacchettare i nostri stracci e siamo pronti per "andare a ballare". Tu che leggi e ci conosci sai che non stiamo scherzando. La serata si conclude questa mattina alle 6 dopo un numero non stimato di birre, sigarette fumate avidamente all'interno di ogni locale possibile (Sirchia must die!) e sing-along a piacere sui pezzi dei Die Toten Hosen.

Stasera siamo a Bad Neustadt, se volete fare un salto. Ora andiamo a farci il bagno.

martedì 10 maggio 2005

MILANO E’ PEGGIO "...ancora una volta mi chiedo se la determinazione nostra a voler altro, a voler tutto, a lottare per essere, a suonare per farlo, a parlare per dire, a camminare per muoversi non sia la risultante di quelle forze che singolarmente andrebbero ad annullarsi, ma solo nell'incrocio, nei nodi, in quei momenti scelti per essere unidirezionali nelle intenzioni, si sommano e creano questi urli sinfonici che sono le autoproduzioni... Boh, comunque non ho dubbi sul fatto che per avere delle cose bisogna farsele, costruirsele." (Yuri mesi fa) .
Comunque sia due righe ho voglia di scriverle. Fosse anche solo un facile esercizio per riordinare le idee all’interno del mio cervello o anche un più difficile strumento di autoaffermazione. Si vive anche a Milano ma talvolta pare che questo ammasso di case e idee non riesca a produrre qualcosa che sia realmente vitale. Intendo “vitale” come attributo di qualcosa di vivo che in quanto tale si automantiene, ha capacità di evolversi con continuità, si autodetermina e autorganizza.
Dicendo questo non ho la convinzione del predicatore bensì la lucidità di chi, come molti, cammina per le strade di questa città con la stessa curiosità di quando passeggia tra le vie di Berlino o i quartieri di Parigi. La mia ingenuità mi porta spesso a credere che il contesto in cui avvengono determinati processi ne determini significativamente il risultato, per cui rimango ancorato all’idea neo-romantica che il disamore per i muri, le strade d’asfalto e le rotaie abbia creato le condizioni per una frammentata e discontinua produzione di senso.
Alla luce di queste considerazioni, quantomai semplici ma reali, rimani stupito quando dal ribollire caotico dei progetti, riconosci in alcuni di questi le caratteristiche che, come detto, appartengono non alle macchine finalizzate ma agli organismi vivi.
Appare chiaro in queste scoperte che la “vitalità” di un idea, un progetto, di una struttura, è data dalla qualità delle relazioni, meglio interrelazioni, che il gruppo riesce ad instaurare al suo interno e verso l’esterno. Nulla di nuovo nel panorama del nuovo paradigma sistemico, ma forse interessante constatazione se lo riferiamo all’ambito milanese e alla sua mancanza di continuità culturale.
Esistono, e raramente ce ne accorgiamo, realtà che, al di sopra di quel che un tempo si chiamava mercato, vivono costituendo con la loro presenza l’essenziale testimonianza del presente, mi spiego; I rapporti che si creano all’interno di questi gruppi di persone e le relazioni di questi con l’ambiente in cui agiscono sono tali da rappresentare, nel loro semplice e talvolta non esemplare percorso, tratti significativi del momento storico in cui viviamo. La caratteristica fondamentale di tali gruppi è l’appartenenza in quanto nodo ad una rete più ampia nella quale sono riconoscibili intenzioni comuni nei metodi di organizzazione. La non linearità di alcuni processi, in questo caso sociali e culturali, conduce talvolta a inaspettate uniformità e analogie, in realtà apparentemente lontane tra loro ma che, in virtù di tale comunanza, camminano nella stessa direzione e mantengono lo stesso incedere dei passi.
Con questo sguardo autocentrato mi pare di individuare in alcuni percorsi collettivi i tratti distintivi di quanto detto. Ci sono esperienze di autoproduzioni “vitali”, nel senso dell’indipendenza decisionale sul prodotto e della continuità culturale, in ambito musicale, video, artistico nonché evidentemente sociale. E’ per me chiaro che l’esperienza dei centri sociali costituisce il preambito di questo discorso, in quanto proprio da queste realtà cominciarono, spesso inconsapevolmente, a costituirsi modelli di organizzazione a rete basati non tanto sul fine dell’azione quanto sui modi e i mezzi dell’agire e, in quanto svincolati dalla tensione della massimizzazione del profitto, liberi di provare nuove strade.
Mi sento ora di dire che in ambito musicale ciò è avvenuto nella musica punk e in tutto quell’immaginario, talvolta mal definito ma tangibile, che a questa è direttamente collegato. Mi azzardo pure a dire che la trasversalità di tale percorso ha permesso, non senza enormi contraddizioni, di mantenersi “vitale” e di non perdere quel filo di seta o di ferro che ha tessuto relazioni ed emozioni di molti di noi. Dicendo questo non voglio escludere nessuno e nessun altro ambito culturale, ma proprio di questo ho esperienza e in questo ancora mi stupisco. Proprio senza alcuna intenzione generalizzante, mi riferisco alla storia dei Minnie’s della quale faccio parte e mediante la quale ho avuto la possibilità e la fortuna di conoscere e riconoscere chi come noi, con noi, va avanti a volte correndo, a volte muovendosi in fretta, con lo stessa intenzione di esistenza. Mi stupisco dunque ancora di più quando proprio in questa città dai muri fitti, delle passerelle e del guardare in basso, nascono testimonianze del presente, senza la pretesa di essere definitive e con la ricchezza del appartenere al locale. Il punto è parlare di noi. Il punto è parlare con voi.
Credo che nell’era della comunicazione massificata il problema più grande rimanga ancora il comunicare, cioè il trasferire informazioni , essere in grado di recepirle, interpretarle e rinviarle filtrate dalla soggettività. Questo è quello che fa una band quando sale su un palco, anzi una band che al palco ci arriva dopo chilometri di autostrada e che ne discende appena prima che sorga il sole. Sono le parole, gli sguardi e le mani che battono, il metabolismo di questo organismo, sono le note gli enzimi di tali reazioni. Abbiamo infiniti modi per comunicare ma son convinto che il più efficace rimanga quello della parole detta e del corpo guardato. Succede proprio questo quando è la musica densa di storie che fa parlare, fa muovere, fa assaporare l’estetica della condivisione, non più o non ancora dei saperi, ma semplicemente delle esperienze. Siamo qui e qui siamo. Nasciamo in questo luogo senza identità e dalla consapevolezza di questo ne rivendichiamo l’appartenenza.
Si dice che la capacità di adattamento è uno dei peggiori mali dell’uomo, ed io in parte concordo, ma nel nostro caso non è adattamento altresì l’”urlo sinfonico” che ci mantiene svegli e attenti alla realtà, che ci permette, non più purtroppo di lottare verso qualcosa che sia meglio, ma almeno di tenere gli occhi ben aperti nel momento in cui arriva il pugno.
Milano nel suo complesso, non riesce o non vuole diventare nodo di quella rete di esperienze che trascendono i limiti nazionali e che vanno a comporre il substrato su cui si sviluppano le grandi direttrici della cultura alternativa o meglio ancora evolutiva. Rimane per certi aspetti solo il luogo dell’attraversamento, che arricchisce e forma, ma che senza la componente del produzione di senso condiviso, non sarà mai ganglio del sistema più ampio. Questo per dire che nel suo piccolo e nella sua specificità la storia dei Minnie’s, come quella di band che “suonano per essere” o di persone che “fanno per dire”, rappresenta quelle situazioni in cui ritrovo il desiderio espresso di sentirsi parte e di essere parte di un percorso di definizione della propria esistenza . Il punk è forse questo, almeno per me; è quella inspiegabile energia (tensione) stretta tra noi e voi, meglio ancora tra noi, che ci fa dire “we are late, but we are”, come dichiarare la propria esistenza in un periodo storico che non ci permette più di desiderare il meglio e che rischia di negare lo status primario.
Questo quadro risulta più desolante constatando che la musica dal vivo, intesa come luogo di incontro “tematico”, perde significato annacquandosi nei grandi eventi o ghettizzandosi nei concerti per pochi. Si va perdendo quella scala cromatica di situazioni, appunto condivise, che rendono il sistema (culturale) multiforme ed in grado di evolversi indipendentemente. Per certi aspetti è la dimostrazione del fatto che non ci si riconosce più in quelle situazioni in cui lo rapporto comunicativo tra gli attori, musicanti e musicati, è diretto e non mediato dalla regia del mercato o dalla distanza fisica tra questi. Ma in fondo non è facile stabilire relazioni di causa-effetto, anzi può essere improprio data la natura sistemica dell’argomento, e mi limito quindi a considerare tutto questo come un’ipotesi di lavoro. Mi rimane solo una convinzione: quando vado ai concerti non mi sento mai solo, quando suono voglio non sentirmi solo.
Yuri Venerdi 18 febbraio ‘05
questa notte ho pensato invece di sognare...
credo che oggi sognerò invece di fare le mille cose che ho da fare..


ma dove cazzo suoniamo questa sera????
questa notte ho pensato invece di sognare...
credo che oggi sognerò invece di fare le mille cose che ho da fare...

ma dove cazzo suoniamo questa sera??

lunedì 9 maggio 2005

finalmente!!
finalmente posso nuovamente postare su questo blog, non che abbia molte cose da raccontarvi, piuttosto ho un sacco di frasi che non so dove posare....

Il ritorno è sempre faticoso...avrei voglia stare ancora seduto davanti alla strada senza chiedermi dove suoneremo questa sera.

ho il peso dei chilometri e dei passi già fatti..